Intervista a 2A-Group - Impronta di carbonio: i gas serra dipendono da ogni nostra scelta

L’impronta di carbonio di un prodotto, un servizio o di una persona è la somma delle emissioni di gas a effetto serra generate durante tutto il suo ciclo di vita: viene espressa in CO2eq, ovvero la quantità di biossido di carbonio equivalente. In inglese si chiama “carbon footprint”. Se volete provare per curiosità a calcolare la vostra impronta di carbonio provate il test del Wwf su www.improntawwf.it

Ogni nostra scelta conta

Quello che mangiamo, come ci muoviamo, cosa indossiamo: il peso della nostra impronta di carbonio dipende dalle nostre scelte. Purtroppo però l’informazione e la certificazione della quantità di gas emessa per produrre quello che utilizziamo (ISO/TS 14067 per i prodotti/servizi – UNI EN ISO 14064 per le organizzazioni), già obbligatoria in Paesi come Francia e Belgio per settori importanti quali l’edilizia, in Italia non è pratica diffusa.

Ci aveva provato Coop, nel suo supermercato del futuro a Expo 2015 , sperimentando etichette “intelligenti” per 1.500 prodotti che riportavano il dato sulla quantità di CO2eq necessari per la loro produzione. Eppure «pur avendo sperimentato l’interesse per questo tipo di dato da parte degli operatori di settore e del pubblico dicono i responsabili della catena di supermercati non c’è in previsione a breve l’inserimento della carbon footprint sulle confezioni a marchio».

Il 15% di sconto sulle fideiussioni per gli acquisti verdi e il punteggio maggiorato nelle gare d’appalto pubbliche non bastano evidentemente a rendere popolare la scelta, volontaria, di quantificare, ridurre e comunicare le emissioni di CO2.

Un calcolo non semplice

Calcolare la carbon footprint, spiega Luisa Tranquilli, sales manager della 2A Group di Brembate, azienda leader nel settore, non è un lavoro semplice. «Raccogliamo i dati di un intero anno solare relativi a ogni fase del ciclo di vita del prodotto oggetto di studio, dalla culla allatomba. Si quantificano gli impatti legati a ogni processo: dall’estrazione delle materie prime alla produzione, direttamente e indirettamente, come la produzione dei detergenti per la sanificazione o dei lubrificanti per la manutenzione dei macchinari, la produzione del packaging, la logistica in ingresso e la distribuzione dei prodotti finiti in uscita, fino allo smaltimento anche dei relativi imballaggi».

«Ogni elemento ha un “peso” in termini di emissioni; inviare una semplice mail comporta l’emissione di circa 19 gr di carbonio». Il risultato di questa enorme raccolta dati è l’impronta di carbonio del prodotto, che può essere poi verificata da un ente terzo che ne certifica la veridicità e avalla procedura e risultati.

Serve anche a ridurre i costi

Non è solo un’operazione di marketing. «Questi studi consentono di individuare le inefficenze, migliorare la scelta dei fornitori, ottimizzare il packaging e la logistica, efficientare il processo produttivo, con una conseguente riduzione dei costi aziendali e l’aumento della competitività». E c’è un’indubbia questione di immagine: «La certificazione regala un’immagine green, è segno di sensibilità e di impegno verso la sostenibilità ambientale, consente di progettare misure di compensazione». Lodevole, ma c’è interesse? «Chi si interroga sulla propria carbon footprint dimostra di avere un alto grado di sensibilità nei confronti dell’ambiente, che vediamo in aumento. Ci sono però Paesi come Cina e India che per ora non sembrano interessarsi alle loro emissioni. La certificazione può aiutare il consumatore a scegliere e stimolare un impegno per ridurre le emissioni».

Fonte: inserto Aprile 2017 L’Eco di Bergamo

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